It’s not my cup of tea

Questo mondo tarda ad arrivare, me lo avevano promesso dopo una serie di peripezie.
Che ci sono state puntualmente.
Ma lui non arriva.
Credo di non essere il suo tipo, credo sia inutile mettersi all’ascolto, annusare profondamente i giorni sino alla loro fine.
Non verrà.
Il mondo adulto, quello che pareva facile da ragazzi, quello di cose sicure, salde e di puntelli lungo le rocce.
Un mondo di montagna sonnecchiosa, un mondo di stabile placido passeggiare con scarpe che non facciano male, con piedi fermi.
E invece piove, ho una bustina di nel cassetto e dovrei dimenticarmi di quello che c’è intorno e delle attese e delle inutili giornate.
Immergersi come bustina in un qualunque brodo.
Guardare fuori e dimenticare il mio nome o solo confonderlo con le note della vita intorno che va ininterrotta, noncurante, strafottente.
Note che suonano nel rumore della pioggia che cade.
Che la mattina pare troppo presto e la sera non c’è mai tempo.
Tempo di avere tempo.
Un mondo qualunque ma non questo.
Non quello che rincorre senza sapere dove andare, che si perde in un rumore assordante di parole messe a caso che si assorbono senza davvero chiedersene il senso, il modo, lo scopo, l’arrivo.
Che non è vero che c’è sempre un arrivo dopo una partenza.
Che le partenze sono solo tazze di , brodaglia d’illusione esotica.
Non arriverà.
Non c’è verso di aspettarlo alla fermata.
Tutti i giorni, di cui ho perso il conto.
Che dicono maggio, ma possono essere anche ottobre o chiamarsi alfredo.
Perché i giorni dovremmo chiamarli per nome e non lasciarli marcire in attesa.
Prendo un tè.
(E.)

Essere

la musica e` sotto la vasca

la musica e` sotto la vasca

Voce del verbo. Voce. Verbo.
Se stessi. Come se ci si rincorresse, bussare per aprirsi.
La cosa più difficile è rimanere, restare vicini a quello che si vorrebbe.
Essere.
Sentire le proprie mani, le proprie gambe, il proprio respiro.
I movimenti impercettibili del proprio corpo.
Come se ad essere si facesse molta più fatica che a stare o a parlare o ad occupare uno spazio inconsapevole. O ad avere.
Siate pure voi.
In un esortativo da pulpito.
Come se fosse facile essere e non perdere.
Che a perdere non siamo buoni, non ci stiamo a perdere, magari rinunciamo ad essere ma dobbiamo restare con il nostro gruzzolo di partenza.
Che rischiare ci pare significhi solo mettere dei soldi, non provare ad essere.
Semplicemente essere senza condizioni e senza strutture.
Senza omologare pur di farci stare dentro il nostro posto. Caldo e scomodo.
Essere.
Che non essere non è una scelta o un dilemma.
E` solo smettere di guardarsi o rinunciare a respirare.
(E.)

Published in: on ottobre 2, 2009 at 9:31 am  Comments (7)  
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Lavorare gratis

a camera tossing shot - mick logan

a "camera tossing" shot - mick logan

Battaglia per sopravvivere. Come sotto i cartoni vicino al supermercato. Che ha messo il vestito nuovo, ha messo la frutta in bella vista, le luci rossastre per far sembrare tutto da copertina.
Supermercato strapieno, come prima di un uragano.
E tanti ortaggi che si affollano alle casse, ortaggi parlanti, con bocche di cavolfiore e sorrisi di peperone.
La British chiede ai suoi dipendenti uno sforzo. Lavorare gratuitamente in luglio. Essere flessibili, aiutare l’azienda. Che perde, per il momento, duecentoventimilioni di sterline.
Che dio poi se passa aiuterà, ma intanto tocca far da soli.
Aria cattiva per gli aerei. Un periodaccio.
E qui si resta a guardar zucchine di ritorno dal lavoro. A cercare fra gli scaffali qualcosa che faccia dimenticare caldo e fatica. Qualcosa che ci aiuti a comporre una buona cena.
Consumare in fretta, parlando con la bocca piena.
Restare stremati dalla stanchezza.
Mascelle che seppur poco impegnate hanno terminato la corsa e seguono meccaniche i cambiamenti di luce dello schermo di fronte.
Nemmeno la dignità.
Non so se ci sia rimasta quella.
Ma la sera non ci si ricorda della dignità, la sera si cerca un refolo d’aria entrare dalla finestra e il buio, con una piccola brace arancio e i pensieri in fumo.
(E.)
Published in: on giugno 17, 2009 at 10:11 am  Comments (14)  
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Pornographie

Intossicati di televisione, ingoiati dalle brutte parole, scritte male e pronunciate peggio.
Ci sono poche parole da salvare e di solito sono quelle pronunciate per caso, senza pensarci troppo.
Certamente non vengono fuori dalla televisione. O non le si trova sulle pagine di un giornale.
Spesso si incontrano per caso.
E tutto il resto pare pornografia. Tutto. Condito di ipocrisia, di voyeurismo, di benevolenza.
Ci restano solo alcuni pionieri. Fotografi per caso, pensatori da marciapiede.
Solitari parolieri, mogol delle ombre.

Nous sommes votre maigre satisfaction dans un monde composé de faux authentique. La substance pure disparaît au profit d’une société du faux. L’ère de l’Hyper réalité est arrivé, allé tous regarder de la pornographie dure. (Benoit Paillé)

(E.)

Published in: on marzo 27, 2009 at 11:58 am  Comments (5)  
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Oroscopi e bombe

Two hundreds miles above Central Asia, the skies are visibly calmer as polar mesospheric clouds are captured on film. While the earth is still shrouded in darkness, the clouds are illuminated by the first streaks of sunlight (courtesy of NASA)

Calendari e nuvole rosa su questo mattino di fine anno.
Un sole arancio da risveglio da savana sui tetti lividi di una città che dorme senza scampo, col ghiaccio a terra e la neve a pochi chilometri, sui rami spogliati da un inverno inclemente e due cuffiette nelle orecchie che concilierebbero piu` il sonno che un inizio di giornata di lavoro.
Il cielo si tinge di rosa, colora le finestre e i cavalcavia, la lattuga oltre i guard-rails, le scavatrici lasciate a dormire lungo la strada.
Dura qualche minuto questo silenzio e questa magia, poi tutto torna normale, come se te lo fossi sognato e il sole, un miracolo, inonda tutto, come fosse sempre stato lì.
Lì a guardare tutto.
Il mondo, i conflitti, le bombe, i morti ammazzati, le auto accartocciate, gli addobbi natalizi, i libri sul comodino, i corpi nudi di chi si ama e i corpi denudati dalla povertà e dalla morte.
Le cose tutte insieme, sparpagliate come in una soffitta, come un riassunto strampalato, fatto di immagini, di gol, di tacchi a spillo, di elezioni, di striscia di gaza, di into the wild, di finestrini appannati, di pagine scritte fitte, di mani troppo spesso dimenticate.
E avremo un secondo in più domani. Lo hanno stabilito senza chiederci il permesso.
E giù retorica sul valore di un secondo.
Che vale davvero un secondo. Non un primo, nè un dessert.
Vale quanto una parola detta piano, senza fretta. Che duri il tempo giusto e che significhi tutto il suo significato, pieno, senza risparmiarsi.
Vi auguro quella parola.
Quella che volete.
Ché si muore un po’ quando qualcosa finisce e gli occhi pieni di lacrime illuminano ancora di più la vista di un sole inatteso.
Io prendo il sole. Lo prendo per mano, lo infilo nei calzettoni. Fin quando ce n’è.
(E.)

Please please please

Misera vita quella umana.
Liberamente incatenata alle sue piccole, stupide abitudini, che come quelle dei gatti, si prendono in fretta e si lasciano con fatica.
Abitudini di caffè e sigaretta, di sere di frutta digitale, grappoli di vita insapore, di pixel e di finto pulsare.
Solitudine e allucinazione.
L’uomo e i suoi simili, orgia di unicità sommabili.
Distratti dallo sguardo di un cursore che lampeggia e ricorda che l’oggetto è lì, costruito per il necessario, ma è destinato a finire, prima di noi, a consumarsi e a lasciarci assetati nel deserto delle parole abortite.
Miraggi di viaggi in differita, di scoperte già sgusciate, come i pistacchi uccisi nel posacenere.
Ricerche di comunanze, fratelli mai visti entrano ed escono come lanciati da uno sparapalle e la racchetta fischia nel raggiungere il proiettile che si frantuma in una somma di puntini neri, che riempiono a caso uno spazio, che nulla ha dello spazio.
La sera è rotta dal rumore dei tasti, in stanze illuminate da pareti che rimandano indietro luci troppo basse.
Motori di ricerca di fantasie inespresse, buste di droghe senza corpo e senza nessun prezzo.
La bocca serrata, accenna a seguire la canzone di sottofondo, poi si ferma in bilico su due lettere, in cerca di un punto. E lo trova rassicurata.

(E.)

qui i suoni
Published in: on gennaio 31, 2008 at 12:08 am  Comments (17)  
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