It’s not my cup of tea
Essere
Voce del verbo. Voce. Verbo.
Se stessi. Come se ci si rincorresse, bussare per aprirsi.
La cosa più difficile è rimanere, restare vicini a quello che si vorrebbe.
Essere.
Sentire le proprie mani, le proprie gambe, il proprio respiro.
I movimenti impercettibili del proprio corpo.
Come se ad essere si facesse molta più fatica che a stare o a parlare o ad occupare uno spazio inconsapevole. O ad avere.
Siate pure voi.
In un esortativo da pulpito.
Come se fosse facile essere e non perdere.
Che a perdere non siamo buoni, non ci stiamo a perdere, magari rinunciamo ad essere ma dobbiamo restare con il nostro gruzzolo di partenza.
Che rischiare ci pare significhi solo mettere dei soldi, non provare ad essere.
Semplicemente essere senza condizioni e senza strutture.
Senza omologare pur di farci stare dentro il nostro posto. Caldo e scomodo.
Essere.
Che non essere non è una scelta o un dilemma.
E` solo smettere di guardarsi o rinunciare a respirare.
(E.)
Lavorare gratis
Pornographie
Intossicati di televisione, ingoiati dalle brutte parole, scritte male e pronunciate peggio.
Ci sono poche parole da salvare e di solito sono quelle pronunciate per caso, senza pensarci troppo.
Certamente non vengono fuori dalla televisione. O non le si trova sulle pagine di un giornale.
Spesso si incontrano per caso.
E tutto il resto pare pornografia. Tutto. Condito di ipocrisia, di voyeurismo, di benevolenza.
Ci restano solo alcuni pionieri. Fotografi per caso, pensatori da marciapiede.
Solitari parolieri, mogol delle ombre.
Nous sommes votre maigre satisfaction dans un monde composé de faux authentique. La substance pure disparaît au profit d’une société du faux. L’ère de l’Hyper réalité est arrivé, allé tous regarder de la pornographie dure. (Benoit Paillé)
(E.)
Oroscopi e bombe
Two hundreds miles above Central Asia, the skies are visibly calmer as polar mesospheric clouds are captured on film. While the earth is still shrouded in darkness, the clouds are illuminated by the first streaks of sunlight (courtesy of NASA)
Calendari e nuvole rosa su questo mattino di fine anno.
Un sole arancio da risveglio da savana sui tetti lividi di una città che dorme senza scampo, col ghiaccio a terra e la neve a pochi chilometri, sui rami spogliati da un inverno inclemente e due cuffiette nelle orecchie che concilierebbero piu` il sonno che un inizio di giornata di lavoro.
Il cielo si tinge di rosa, colora le finestre e i cavalcavia, la lattuga oltre i guard-rails, le scavatrici lasciate a dormire lungo la strada.
Dura qualche minuto questo silenzio e questa magia, poi tutto torna normale, come se te lo fossi sognato e il sole, un miracolo, inonda tutto, come fosse sempre stato lì.
Lì a guardare tutto.
Il mondo, i conflitti, le bombe, i morti ammazzati, le auto accartocciate, gli addobbi natalizi, i libri sul comodino, i corpi nudi di chi si ama e i corpi denudati dalla povertà e dalla morte.
Le cose tutte insieme, sparpagliate come in una soffitta, come un riassunto strampalato, fatto di immagini, di gol, di tacchi a spillo, di elezioni, di striscia di gaza, di into the wild, di finestrini appannati, di pagine scritte fitte, di mani troppo spesso dimenticate.
E avremo un secondo in più domani. Lo hanno stabilito senza chiederci il permesso.
E giù retorica sul valore di un secondo.
Che vale davvero un secondo. Non un primo, nè un dessert.
Vale quanto una parola detta piano, senza fretta. Che duri il tempo giusto e che significhi tutto il suo significato, pieno, senza risparmiarsi.
Vi auguro quella parola.
Quella che volete.
Ché si muore un po’ quando qualcosa finisce e gli occhi pieni di lacrime illuminano ancora di più la vista di un sole inatteso.
Io prendo il sole. Lo prendo per mano, lo infilo nei calzettoni. Fin quando ce n’è.
(E.)
Please please please
Misera vita quella umana.
Liberamente incatenata alle sue piccole, stupide abitudini, che come quelle dei gatti, si prendono in fretta e si lasciano con fatica.
Abitudini di caffè e sigaretta, di sere di frutta digitale, grappoli di vita insapore, di pixel e di finto pulsare.
Solitudine e allucinazione.
L’uomo e i suoi simili, orgia di unicità sommabili.
Distratti dallo sguardo di un cursore che lampeggia e ricorda che l’oggetto è lì, costruito per il necessario, ma è destinato a finire, prima di noi, a consumarsi e a lasciarci assetati nel deserto delle parole abortite.
Miraggi di viaggi in differita, di scoperte già sgusciate, come i pistacchi uccisi nel posacenere.
Ricerche di comunanze, fratelli mai visti entrano ed escono come lanciati da uno sparapalle e la racchetta fischia nel raggiungere il proiettile che si frantuma in una somma di puntini neri, che riempiono a caso uno spazio, che nulla ha dello spazio.
La sera è rotta dal rumore dei tasti, in stanze illuminate da pareti che rimandano indietro luci troppo basse.
Motori di ricerca di fantasie inespresse, buste di droghe senza corpo e senza nessun prezzo.
La bocca serrata, accenna a seguire la canzone di sottofondo, poi si ferma in bilico su due lettere, in cerca di un punto. E lo trova rassicurata.
(E.)