O che non cambia il mondo se non le sai.
Il sistema che regola le sincronizzazioni dei semafori, per esempio.
Quei secondi decisi da qualcuno che regolano l’universo.
Pensavo a Gianni Rodari stamattina, mentre cercavo di non fare l’ennesima scivolata sul ghiaccio, pensavo a come la racconterebbe lui la storia delle cose che non sappiamo.
La storia delle cose che non hanno voce, che se anche se l’avessero poi forse non l’ascolteremmo.
La storia dei pianeti che non conosciamo, delle voci degli animali che non sappiamo distinguere, la storia degli omini dei semafori, che si lanciano un urlo dall’altra parte della strada e fanno scattare il verde, tutti insieme. Omini che nessuno ha visto e che permettono di fermarsi a guardare fuori da finestrini anche quando hai fretta.
La storia di coloro che pur non sapendolo rendono alcune cose possibili.
Come quella di contare i cumuli di neve durante il tragitto, di indovinare il colore esatto che avrà il sole quando incrocerà gli alberi dietro al campo.
La storia delle cose di cui non conosciamo la ragione, ma sappiamo che sono così.
Uscire alla stessa ora, anche se è presto. Fare gli stessi passi, cercare le stesse persone, guardare la data sull’insegna luminosa della farmacia.
Guardarsi le scarpe da sotto al cappello.
Guardare i passi del mattino e non contarli, anche se sono fra gli ultimi dell’anno.
Passi sprecati, buttati lì, non misurati, ampi e generosi.
Che i semafori in confronto sono morigerati, che lampeggiano di giallo le stesse volte e ogni volta quel secondo fra il rosso e il verde lo conti, guardando chi parte prima.
(E.)