Alice et moi

Ci sono lunedì che non vuoi, ce ne sono altri che arrivano con la giacca pesante, quando l’avevi dismessa, e ti dicono di provare a raggomitolarti, ti dicono che hai una buona cera, anche con grigio fuori.
Oggi vi regalo uno short-movie. Uno di quelli adatti a certe giornate, in bianco e nero, con tanta ironia e molte sfumature di grigio, che vanno dalla storia universale a quella delle nostre città, dalle relazioni alla famiglia, da un passato nebuloso ad un futuro incerto.
Siamo noi. Fratelli a tutte le latitudini.
Soli e persi, smarriti in volti cancellati dalle nostre aspettative, dai desideri che abbiamo cucito sopra. Vogliosi di appartenere a qualcuno, ma sordi all’ascolto.
In sfogo perenne sulle nostre mancanze.
In bianco e nero.
Tanti lui come me.
(E.)

p.s. avevo detto a Zau che avrei postato un corto, in cui il doppiaggio non sarebbe servito, o forse avrebbe tolto qualcosa, eccolo.
Published in: on aprile 20, 2009 at 11:21 am  Comments (9)  
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Alef-bet

la foto è di auro – playing with my past

Ci sono libri da cui non ci si vorrebbe staccare.
Come dal sonno, quando ti parlano sopra, ed è la sveglia.
Capitomboli di pensieri, rotolanti, come biglie impazzite dopo un lancio a casaccio.
Ruscelli di parole si srotolano davanti agli occhi.
Si inumidiscono di freschezza e di raggi di sole si scaldano.
Parlano i libri. Parlano lingue che non conosciamo spesso e qualcuno deve tradurceli.
E portarci nella sua lettura del letto.
Come se ci disegnassero i pensieri.
E certe volte i bambini hanno ragione.
I libri sono come i sogni. Non sono veri.
Sono come dei disegni nel cervello.

(E.)

Published in: on febbraio 27, 2009 at 9:01 am  Comments (8)  
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Meduse

Lea Majaro-Mintz at Rokach House, Tel Aviv, Israel – foto di hanneorla

E se non hai baciato lei prima di andare via, se puoi bacia me quando ritorni.

Ci sono mappamondi su misura in questo strano mondo, mappamondi con paesi cancellati e invenzioni pure, per far piacere al signore lì e al governante là. Ci sono luoghi dove vorremmo andare senza esitazione, luoghi lontani in cui perderci per ritrovare le nostre origini, il nostro cuore pulsante senza perdere i battiti. Ci sono storie che avremmo voluto raccontare con le stesse singole parole o con quelle immagini. Ci sono fotogrammi fissi nella nostra memoria, in cui riusciamo persino a distinguere il profumo e il sapore netto sulla lingua.

Dentro fiumi di fango rotoliamo sentendoci puliti, ciechi di rabbia o di sonno, annebbiati di cielo immaginato, ché quello lì fuori riusciamo a mala pena a vederlo, distratti, scontati.

Sta lì, resta lì e questo ci consola, ci rinfranca, ci calma.

Camomilla di luce e oblio di oscurità.

Ci sono città dove sarebbe bello morire. Città mai viste ma sentite sotto la pelle, come sangue iniettato. Città di contraddizione, di palazzi e mare, come la lotta fra ragione e inconscio.

E per quanto ci si sforzi di far vincere la coscienza, è l’incoscienza ad avere la meglio.

Il mare è una zona neutrale, che cancella le differenze.

Anche tra i soldati.

Lì vorrei morire.

(E.)

Published in: on gennaio 26, 2009 at 9:50 am  Comments (21)  
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Aramis

2270038310_0cafaa15361In un canestro di vimini, sparpagliate come bambole inanimate, vedo ali di pensieri, spennate, come fossero volti di bambini svegliati nel cuore della notte. Come fossero volti sfregiati o attraversati da smorfie di dolore, o di eccessiva gioia, ché sempre smorfie sono. Pensieri di pistole, di lacrime, di libri, di racconti, di voci e di silenzi, pensieri spennati, di piume e di chicchi di riso.
Concerti su spianate, voci e speranze, troppe speranze. La speranza può bastare?
Shalom, salaam. Si animasse dal cesto quella parola, prendesse vita forse smetteremmo di correre e ci fermeremmo coi cieli puliti, ad ascoltare la terra che racconta.
Che parla di piccole grandi battaglie per sopravvivere, di orecchie poggiate sul terreno ad ascoltare i tremori delle radici degli alberi, i sussurri dei bruchi, la voce delle formiche.
E invece la terra non la si ascolta, ché fuori c’è troppo frastuono.
E non si fa in tempo. E il tempo non basta mai. E non torna, resta lì a guardarti e a dirti che anche se ne hai un po’ non sei ricco, sei ricco se non ti dimentichi di quello che hai sprecato.
E ieri sera, quando il tempo riprendeva piano il suo volto, severo ma munifico, sfogliavo in libreria un libro, apparentemente senza nesso con tutto questo.
Avrei visto un film, annusavo libri di tutti i generi, cercando qualcuno che mi restituisse il tempo perduto.
E ho letto questo:
“Non so come si chiamino, sai, gli spazi fra un secondo e l’altro, ma io ti penso in quegli intervalli”.
Ecco, quel tempo, di quello dovremmo ricordarci.
Di un tempo senza fretta. Per fare la pace.
שָׁלוֹם עֲלֵיכֶם (shalom alekem) السلام عليكم (as-salamu alaikum)

(E.)

(la foto e`di subcomandanta, bella come un’attesa)
Published in: on gennaio 19, 2009 at 10:32 am  Comments (14)  
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Le oche del Campidoglio

(gaetano chierici – 1838/1920 – oche)

Ai piedi del tempio di Giunone, la dea moneta.
Figlie sue, ammonenti come lei, petulanti di strepiti notturni, tanto che per consolarmi penso che anche la mia gatta possegga la stessa madre.
Le oche, in stormo sul fiume Hudson, come sul fiume Allia, le oche giulive, quelle che mettono alla prova l’abilità di qualcuno per sopportarle o per respingere i loro sgambetti.
Che volano sopra il sangue scampato e si inumidiscono di spruzzi di acqua dolce.
Che fuggono dai giorni nefasti sulle rive di altri fiumi e di altro mare, sui pianti di bambini sotto le macerie.
Certi venerdì somigliano ad un banchetto, uno infernale, in cui corpi si mescolano a speranze, in cui grida si fondono al crepitare del fuoco, non di caminetti.
Assassini dei figli che verranno, siamo fermi sul ciglio della strada e guardiamo le camionette passare.
E bruciamo d’inedia.
(E.)

Published in: on gennaio 16, 2009 at 10:49 am  Comments (6)  
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Oroscopi e bombe

Two hundreds miles above Central Asia, the skies are visibly calmer as polar mesospheric clouds are captured on film. While the earth is still shrouded in darkness, the clouds are illuminated by the first streaks of sunlight (courtesy of NASA)

Calendari e nuvole rosa su questo mattino di fine anno.
Un sole arancio da risveglio da savana sui tetti lividi di una città che dorme senza scampo, col ghiaccio a terra e la neve a pochi chilometri, sui rami spogliati da un inverno inclemente e due cuffiette nelle orecchie che concilierebbero piu` il sonno che un inizio di giornata di lavoro.
Il cielo si tinge di rosa, colora le finestre e i cavalcavia, la lattuga oltre i guard-rails, le scavatrici lasciate a dormire lungo la strada.
Dura qualche minuto questo silenzio e questa magia, poi tutto torna normale, come se te lo fossi sognato e il sole, un miracolo, inonda tutto, come fosse sempre stato lì.
Lì a guardare tutto.
Il mondo, i conflitti, le bombe, i morti ammazzati, le auto accartocciate, gli addobbi natalizi, i libri sul comodino, i corpi nudi di chi si ama e i corpi denudati dalla povertà e dalla morte.
Le cose tutte insieme, sparpagliate come in una soffitta, come un riassunto strampalato, fatto di immagini, di gol, di tacchi a spillo, di elezioni, di striscia di gaza, di into the wild, di finestrini appannati, di pagine scritte fitte, di mani troppo spesso dimenticate.
E avremo un secondo in più domani. Lo hanno stabilito senza chiederci il permesso.
E giù retorica sul valore di un secondo.
Che vale davvero un secondo. Non un primo, nè un dessert.
Vale quanto una parola detta piano, senza fretta. Che duri il tempo giusto e che significhi tutto il suo significato, pieno, senza risparmiarsi.
Vi auguro quella parola.
Quella che volete.
Ché si muore un po’ quando qualcosa finisce e gli occhi pieni di lacrime illuminano ancora di più la vista di un sole inatteso.
Io prendo il sole. Lo prendo per mano, lo infilo nei calzettoni. Fin quando ce n’è.
(E.)

Clan-destino

la foto è di Giancarlo Rado

“…Fantasma en la ciudad
Mi vida va prohibida
Dice la autoridad…”

I cecchini piazzati nei punti strategici, a controllo delle porzioni di aria libere, a protezione dell’incolumità delle Personalità. La Nazione ospitante non è responsabile per gli accrediti non dati ai giornalisti. Capi di Stato in successione, sorridenti come fosse una giornata di premiazione e invece si parla di fame, della sempre crescente difficoltà di procurarsi i cereali, i beni primari.
Ma si condanna: non si stringono le mani ad Ahmadinejad.
L’ipocrisia fluttua nelle stanze delle conferenze stampa. Non si può accettare chi voglia cancellare Israele dalla faccia della terra!
Eppure l’Italia e i suoi imprenditori fanno affari con Ahmadinejad e il suo Paese. E nessuno che abbia detto: nessuno faccia affari con questa gente! Questo no, questo non è il caso di dirlo. Non si può. Non c’è tempo per alzare polveroni. Che se ne vada piuttosto e che qualcuno pensi a zittirlo una volta per tutte.
E la scalinata si tinge di nero: nessuno tocchi Israele.
E se in nome di questo delirio morissero tanti iraniani indifesi? Se gli Stati Uniti, sull’onda di questo consenso sdegnato, aprissero il conflitto tante volte minacciato? Riusciremmo a condividerlo?
E il tempo invece è propizio per dimostrarsi comprensivi e magnanimi, in un coup de théâtre che profuma di Chiesa e di Nazioni Unite.
Una marcia indietro verso la comprensione. Aggravante non reato. Il clandestino non è reo ma se commetta reato si trovi la giusta pena assommandone la componente clandestinità.
La Lega sbigottita, Gasparri balbettante. La calda estate del tira e molla temo abbia inizio. E l’autunno del nostro scontento lascerà il ricordo della primavera delle promesse.
La faccia va preservata, ma resta da valutare la scelta di quale.
Chi non ne ha mai avuta, dubito possa noleggiarne una.
Aperture e chiusure. In una sorta di conflitto latente.
Di micce ce ne sono da vendere. I cerini speriamo non li trovino.
(E.)

Published in: on giugno 4, 2008 at 7:52 am  Comments (23)  
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