It’s not my cup of tea
Il volto sciolto
Découvration – BNCTONY
Liquefatto dai giorni che si sommano e col resto non ci compri un francobollo. Calcoli di somme e potenze, previsioni di budget e nulla che torni, nemmeno indietro un saluto, per caso. Uno solo. Singoli pezzi che si staccano e tornano da dove erano venuti. Tutti quanti. Verso la loro casa, la loro origine, il loro letto. Scorrono sul volto le lacrime trattenute, quelle versate, scorrono i giorni scoperti e quelli nascosti, le porte aperte, i giardini staccati di alberi rigogliosi, i frutti fioriti di promesse mai mantenute. Nuotano negli specchi fra le ciglia e si fermano sul mento, sparendo inascoltati per tornare o andare. Per non restare. I coni e i trapezi statici e i prismi di gioie multicolori. I gelati sciolti di estati mai vissute e i secchielli di castelli affossati da onde di calendari strappati e dimenticati. Passano tutti davanti, in sfilata, senza passare dal via. In prigione. E nel mare di pozzanghere specchiare il proprio volto nuovo. Tornato senza cattiverie, senza dolori, senza bugie. Sciolto di burro dolce. E nessuna altra parola.
(E.)
I cinesi non muoiono mai
le tueur – di BNCTONY
Folate di perfezione, così, distratte, per caso.
Ché le folate sono rare, quindi non stiamo a sottilizzare.
E la perfezione non esiste, quindi se si presenta sotto forma di vento tocca crederci ciecamente e chiudere gli occhi. Prendere tutte le singole molecole d’aria trasportate e non perderne una.
Trascinare i propri stanchi reni. Come la propria pellaccia.
Cercare la perfezione nella sua negazione assoluta, perché è lì, se mai esistesse, che si nasconde.
E scoprire quindi la ricetta. Quella che fa tornare indietro o di corsa avanti, quella che cancella un presente che non esiste, perché appena è detto è già passato.
Come tutto quello che possiamo toccare.
Passato.
Di verdure anche. Che fa bene.
(E.)
so what?
Piove.
Sugli asfalti intossicati e sui bordi masticati dei marciapiedi.
Sui piedi che corrono dentro a scarpe che non ci raccontano nulla di nuovo.
Ché le scarpe non parlano, non sempre almeno.
Qualche volta ciancicano qualcosa. Spesso quando hanno i tacchi te lo dicono chiaro e tondo, altre basta solo qualche goccia a terra per farle tacere, per attutirle.
Piove.
Ché quasi pare non abbia smesso mai, perché la pioggia ha questo potere, di sembrare eterna, interminabile.
Ché governo ladro non ha più senso dirlo, ché non è solo ladro.
Piove. Nulla di nuovo. I bordi dei pantaloni sono umidi. Il caffè sa di caffè.
Le luci al neon sono meno bianche del cielo lì fuori.
Il bianchetto mi ha tinto un pollice e l’ora legale m’ha rubato il sonno.
Lunedì insomma. Ché se piove almeno sai con chi prendertela.
(E.)
Nuvole in corsa
BCNTONY si esprime nella foto intitolandola “les experts paris”
Penso alle cuffie di te che corri. E al mondo vento intorno, al mondo fratello e sorella, al mondo nemico che soffia nelle tue orecchie.
Penso a quell’altro te che scorre nelle mie vene, senza saperlo. Scorre e diventa altro, ma diventa e già questo è tanto.
Penso a tutti i te che nuotano nei laghi dei miei occhi, impossibili da afferrare, nei mulinelli dei pensieri sciolti nelle palpebre.
Penso a quanti te avrei costruito se avessi saputo.
Penso che questo mondo sia troppo crudele per sprecare congiuntivi e congiuntiviti.
Penso che la crudeltà si misuri in decibel e dai decibel venga cancellata, sotto lacrime finte e pregiudizi, sotto nuvole soffiate e allungate, sotto cieli stellati inaspettati.
Ho scritto il mio testamento. Quello della mia vita. Senza averi, perle e libretti di risparmio. Piuttosto ti risparmio la pena di aprire il vuoto. Ho disposto della mia vita perchè nessuno possa dire che non volevo e invece voglio.
(E.)
Oroscopi e bombe
Two hundreds miles above Central Asia, the skies are visibly calmer as polar mesospheric clouds are captured on film. While the earth is still shrouded in darkness, the clouds are illuminated by the first streaks of sunlight (courtesy of NASA)
Calendari e nuvole rosa su questo mattino di fine anno.
Un sole arancio da risveglio da savana sui tetti lividi di una città che dorme senza scampo, col ghiaccio a terra e la neve a pochi chilometri, sui rami spogliati da un inverno inclemente e due cuffiette nelle orecchie che concilierebbero piu` il sonno che un inizio di giornata di lavoro.
Il cielo si tinge di rosa, colora le finestre e i cavalcavia, la lattuga oltre i guard-rails, le scavatrici lasciate a dormire lungo la strada.
Dura qualche minuto questo silenzio e questa magia, poi tutto torna normale, come se te lo fossi sognato e il sole, un miracolo, inonda tutto, come fosse sempre stato lì.
Lì a guardare tutto.
Il mondo, i conflitti, le bombe, i morti ammazzati, le auto accartocciate, gli addobbi natalizi, i libri sul comodino, i corpi nudi di chi si ama e i corpi denudati dalla povertà e dalla morte.
Le cose tutte insieme, sparpagliate come in una soffitta, come un riassunto strampalato, fatto di immagini, di gol, di tacchi a spillo, di elezioni, di striscia di gaza, di into the wild, di finestrini appannati, di pagine scritte fitte, di mani troppo spesso dimenticate.
E avremo un secondo in più domani. Lo hanno stabilito senza chiederci il permesso.
E giù retorica sul valore di un secondo.
Che vale davvero un secondo. Non un primo, nè un dessert.
Vale quanto una parola detta piano, senza fretta. Che duri il tempo giusto e che significhi tutto il suo significato, pieno, senza risparmiarsi.
Vi auguro quella parola.
Quella che volete.
Ché si muore un po’ quando qualcosa finisce e gli occhi pieni di lacrime illuminano ancora di più la vista di un sole inatteso.
Io prendo il sole. Lo prendo per mano, lo infilo nei calzettoni. Fin quando ce n’è.
(E.)
Stati di colore
Sui campi abbandonati sul ciglio della strada si alza un velo compatto di bianco. Le mattine di gennaio sono così, bizzarre e scostanti, come una donna. Si alzano col sole e intiepidiscono le case, scaldano i colori degli intonaci, pallidamente li fanno arrossire di lontano mentre i navigli come vermiciattoli sono coperti da piccole nubi, come azoto liquido, che vorresti sfiorare con le dita per percepirne la consistenza.
Il cielo è una speranza, con fazzoletti sparsi di varie forme, pronti a raccogliere le lacrime del mattino, pronti ad ammorbidire la caduta sull’asfalto del colore, che si ingrigisce e si fa cupo, mentre ruote infelici lo trapassano veloci.
Un giallo gassoso trafigge i vetri delle case e le illumina di giorno, sveglia i gerani infreddoliti e scosta le tende. Le lenzuola stese si muovono piano, pesanti di umidità, cariche di aria satura di tubi di scappamento.
Il verde solido si fa più nitido a tratti, laddove il velo bianco e paterno lascia la terra per sciogliersi al sole.
Un aereo passa incurante e confonde i suoni di due voci che si salutano.
Il mattino scorre piano, mentre tutto il resto intorno va e non si ferma a guardarlo, col suo oro in bocca e la sua voglia di caffè.
E il contrasto stupisce, fra la natura che dirompe lenta e incosciente e l’umanità che sbadigliando inizia a correre come la gazzella nella savana.
(E.)