Se l’ape scomparisse, dicevano che dicesse Einstein, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita.
Spiegazioni da rintracciare a parte, è incredibile pensare che se vivessimo in un mondo diverso che dipendesse dall’inseminazione dei fiori da parte delle api, un mondo pulito insomma, non artificiale, questa teoria sarebbe anche attendibile.
Pensare che stanno per abbattere esemplari di alci nel parco dello stelvio. Sono troppe.
Come se un giorno i cani insorgessero e decidessero che gli uomini sono un numero intollerabile per la loro sopravvivenza e decidessero di darci una scorciatina.
Il fuco, l’ape regina, la nostra società in cui ci sono vittime mandate a morire per la salvaguardia degli altri.
E poi si scopre che tutto, davvero tutto, è colpa dell’uomo. Dal surriscaldamento, che davvero mi pare il nuovo argomento di chiacchiere globali – in ascensore si parlava del tempo e delle stagioni, pare non sia cambiato niente, eppure a memoria d’uomo il tempo cambia e in padania ai tempi dei romani c’erano i ghiacciai – alle sofisticazioni – che i contadini che inventavano il mandarancio ci paiono i pionieri dei pomodori resistenti alle gelate.
E la verità è che non cuciniamo più, che le cose pronte sono quelle che ci risolvono la serata e che fanno contenti mariti e figli.
E la verità è che, come noi trasmettiamo i geni ai nostri figli, anche le piante lo fanno coi loro frutti, e le trasformazioni continuano all’infinito, in una sorta di centrifuga perenne, in cui le zanzare volano vive e vegete con 5 gradi fuori.
Passo le giornate a prendermi in giro. Cerco motivi intelligenti per pensare che in fondo vogliono dare la colpa agli uomini, ma non è tutta colpa loro.
Che domineddio già ci sentiamo, e sarebbe ora che iniziassimo a percepirci come granelli di sabbia.
E invece una mattina come queste in cui cammini nella nebbia col sole che la squarcia, è bello pensare che se non ci fossimo sarebbe bello lo stesso.
(E.)